La classe operaia va in paradiso?"

di Rivoltiamo la precarietà - Bari
13 maggio 13
Intervista a un gruppo di lavoratori della Bridgestone a cura di "Rivoltiamo la precarietà"

Davanti ai cancelli della Bridgestone di Modugno, zona industriale di Bari, è presente ormai da due mesi il presidio dei lavoratori in mobilitazione a causa dell'annuncio della chiusura dello stabilimento prevista per il 2014.
E' un sabato mattina piuttosto tranquillo. Il clima è ben diverso dai momenti caotici e di massima rabbia vissuti a causa delle notizie provenienti dalla direzione aziendale. Siamo seduti con alcuni lavoratori ai quali se ne aggiungeranno altri, tra cui un pensionato che ha vissuto gli anni 60 e 70. Un'epoca in cui i lavoratori della Firestone erano protagonisti di dure lotte e vertenze. Oggi, invece, il futuro che si materializza vive un contesto economico, produttivo e conflittuale ben diverso. L'occasione è quella ideale per trascorrere insieme quasi tre ore e per farci raccontare i fatti, le opinioni e le riflessioni, osservare e cogliere diversi stati d'animo e comuni punti di vista.

Rivoltiamo la precarietà - Quale idea vi siete fatti riguardo le strategie della multinazionale Bridgestone dopo due mesi dall'annuncio della chiusura dell'unico stabilimento in Italia?
Operai - Non è possibile che uno stabilimento con queste dimensioni possa chiudere definitivamente. Pare che l'obiettivo sia quello di un cambio di marchio, di una cessione. Secondo le logiche del mercato non è possibile che un colosso, primo al mondo per produzione di pneumatici, possa cedere ad una concorrente tutta l'esperienza, la professionalità e l'alta tecnologia di cui è dotato questo sito. Sarebbe come offrigli un piatto già pronto per essere servito a tavola.
La questione è che i manager cadono sempre in piedi. Gli abbiamo chiesto di dimettersi, per loro la dignità significa ben altro e che sia chiusura o cessione, a livello dirigenziale, sono già tutti collocati con laute buone uscite e guadagni.

Rp - Delle proposte emerse durante gli incontri istituzionali cosa non accettate assolutamente?
O. - Assolutamente la chiusura dello stabilimento e la ricoversione produttiva di pneumatici a bassa gamma. Sarebbe una lenta e inevitabile agonia verso la chiusura.
La Bridgestone è stata la prima azienda nel mondo a produrre la RFT, i pneumatici con la "Run Flat Technology", che assicurano sicurezza e stabilità in caso di foratura e rapida perdita di pressione del pneumatico. Da diversi anni in Europa, insieme allo stabilimento di Poznam in Polonia, è qui che si è introdotta e si produce la RFT. Facciamo solo un esempio per rendere l'idea delle capacità professionali presenti in fabbrica: mentre in Polonia si sono impiegati quattro anni per avviare la produzione della RFT, qui siamo riusciti a farlo in diciotto mesi. E questo non è dipeso dai macchinari, bensì da noi.
Per loro è facile impossessarsi del valore che col tempo noi abbiamo fatto acquisire ai pneumetici in termini di comfort, convenienza e sicurezza. Tutte caratteristiche che poi si tramutano in guadagno. E poi, che fanno all'improvviso? Decidono di andar via!

Rp - Potete entrare più nel merito del vostro ruolo, come lavoratori, nel ciclo produttivo all'interno della fabbrica?
O. - In questo stabilimento esiste una capacità altamente tecnologica sia produttiva che tecnica. Il tutto è fondato sulla nostra abilità di trasformare il pneumatico dalla fase di progettazione, eseguita dall'equipe di chimici ed ingegneri, alla realizzazione del prodotto finito, apportando durante il ciclo produttivo tutte quelle modifiche, integrazioni, aggiustamenti che spesso rendono il pneumatico più idoneo rispetto alla norma.
Non solo! E' risaputo e ne siamo ben consci che il più delle volte riusciamo a modificare anche la funzionalità dei macchinari per apportare un'innovazione, un reale miglioramento qualitativo al pneumatico, che con la semplice capacità originaria della macchina non si sarebbe ottenuto.
Per chi lavora qui dentro ormai da vent'anni, durante i quali si sono ricoperte diverse mansioni (dalla manutenzione dei macchinari in officina alla gestione del magazzino), è anche capitato che quando si ricevevano da "casa madre" macchinari con anomalie siamo stati noi operai a renderli più efficaci. La manutenzione raramente è stata ordinaria. Nel reparto trafila siamo riusciti anche a raddoppiare la velocità produttiva da 5 a 10 metri al minuto. Da 13/14 pollici il pneumatico è passato a 15/16 pollici senza alcun cambio di tecnologia e quindi di investimenti da parte dell'azienda. Quella che chiamano "produttività" noi l'apportiamo implicitamente senza che ci sia stato un riconoscimento economico-salariale. Senza alcuna gratificazione, se non le solite frasi "siamo tutti una grande famiglia!"
Spesso sono stati gli stessi manager, provenienti anche da altri stabilimenti, a frequentare corsi di aggiornamento in cui eravamo noi ad intervenire, a tenere le lezioni. Nel 2007, l'anno in cui si è iniziato a parlare di crisi, abbiamo raggiunto il record di spedizioni e di aumento della produzione. Si producevano 460 mila pneumatici al mese. Poi è iniziato a cambiare qualcosa: periodi di fermo della produzione, di cassa integrazione fino alla notizia di qualche settimana fa.

Rp - Come vi state organizzando per fermare e ribaltare la scelta della chiusura dello stabilimento? E fino ad ora a cosa è servito il presidio davanti ai cancelli della fabbrica?
O. - Al momento le istituzioni e i sindacati hanno ben compreso la portata della chiusura, eventuale cessione o riconversione produttiva al ribasso. Si è avuta un'alta visibilità mediatica, siamo riusciti a far rumore collettivamente con l'azione di boicottaggio commerciale; l'azienda ha ritirato la volontà della chiusura irrevocabile. Ma questo non basta. Gli incontri successivi hanno dimostrato che le altre opzioni proposte non sono soddisfacenti, anzi portano dritto all'abbandono graduale e alla perdita del lavoro. Noi crediamo che oggi l'obiettivo deve essere condiviso in pieno, deve esistere una sorta di intersindacabilità. Più che in passato, c'è bisogno di maggiore collaborazione tra lavoratori e RSU.
Il presidio sta diventando uno spazio formativo, di partecipazione dei lavoratori a problematiche, criticità alle quali in passato non badavamo o abbiamo sottovalutato. Oltre alle assemblee sindacali, iniziamo a scambiarci maggiori informazioni, a valutare quali strategie impiegare per evitare la chiusura, per far comprendere alla Bridgestone che non siamo assolutamente indifferenti. Adesso non possiamo permettere che i macchinari vengano smontati, escano dallo stabilimento. Dobbiamo badare anche all'uscita dei pneumatici, alle spedizioni. E' necessario continuare a ricercare ed attuare forme di contrasto alla strategia aziendale. Il sit-in è una forma di difesa. L'azienda agisce con furbizia, agisce per il "dio denaro". Noi per resistere, per la salvaguardia di un lavoro che ci fa vivere dignitosamente.

Nel bel mezzo della discussione arriva Tonino, ex-operaio in pensione. Subito ci ha voluto raccontare la storia della Bridgestone, quando nel 1985, ancora Firestone, dopo 16 giorni di sciopero ad oltranza non si è riusciti a fermare l'introduzione del ciclo continuo: 21 turni e mezzo settimanali inclusi i sabato, le domeniche e festivi. Ma solo dopo alcuni anni, nel 1990, la produzione inizia ad essere di troppo. Iniziano gli esuberi per 300 lavoratori, si elimina la produzione dei pneumatici per camion e inizia quella di alta qualità.
Già a quel tempo i lavoratori, poco supportati dalla "triade confederale" (cgil, cisl e uil), così li chiama Tonino, iniziavano ad accorgersi che c'era qualcosa che non sarebbe andato a buon fine nel lungo periodo. Non andava la logistica, i pneumatici uscivano dalla fabbrica su camion, il trasporto su rotaie veniva abbandonato.
Mentre i gruppi più grandi (Bridgestone, Pirelli, Michelin) si dividevano il mercato dei pneumatici, questi non hanno assolutamente considerato i piccoli gruppi che producevano in Cina e nel sud-est asiatico con costi inferiori anche del 50%. Come si sono successivamente adeguati? In Brasile la Bridgestone ha aperto uno stabilimento con appena 50 lavoratori alle proprie dipendenze, mentre migliaia di altri operai sono stati assunti da aziende appaltatrici e subappaltatrici senza i minimi requisiti di sicurezza, diritti e trattamento economico.

Rp - Inizia così un dibattito tra i lavoratori presenti. Al centro dell'attenzione è messa la politica economica dell'Europa, i problemi sistemici provocati dalla globalizzazione.
O. - Se i lavoratori polacchi oppure quelli serbi che lavorano per la Fiat, come hanno iniziato a rivendicare, dovessero ottenere un miglioramento delle condizioni di lavoro, della qualità alla sicurezza, questa corsa al ribasso potrebbe arrestarsi. Eppure la Bridgestone, come tante altre, ha usufruito di sgravi fiscali, incentivi, è stata favorita per aumentare gli utili. Tutto questo è permesso dall'Europa. Pare complicato, ma la questione è semplice. C'è bisogno di regolamentazione, altrimenti qui implode tutto. Si sta ritornando indietro di decenni, quando le persone non riuscivano a vivere, se non addirittura a mangiare. Se riusciamo ancora ad arrivare a fine mese è perchè ci sono i genitori, i loro risparmi.
In due anni le buste paga piuttosto che migliorare sono diminuite di 200/300 euro. Non fanno altro che chiederci sacrifici. E loro? Continuano a fare profitti. Nel 2011 l'utile di questo stabilimento è stato di 6 milioni di euro.
Qui dentro c'abbiamo lasciato pelle ed energie. Dal 1994 al '99 ho lavorato 10 ore al giorno, anche di sabato, domenica e festivi. Poi all'improvviso si è passati alla cassa integrazione. Nel frattempo però si sono serviti degli interinali per coprire i picchi di produzione. Ragazzi, gran parte padri di famiglia, con contratti a termine rinnovati periodicamente ogni sei mesi, un anno.
Questa è la situazione attuale in fabbrica, la nostra come tante altre. A qualche centinaio di metri da qui i lavoratori della Om Carrelli vivono già da qualche anno una situazione simile.

Bari, maggio 2013


Le fabbriche della zona industriale di Bari-Modugno nella crisi

- Isotta Fraschini 200 dipendenti, ricorso saltuario alla cigo (cassa integrazione ordinaria)
- Thermocold 27 dipendenti, mobilità e 17 licenziamenti senza accordo sindacale
- Siret, cassa integrazione per tutti i 39 lavoratori
- Sidercamma, Cigo e mobilità per 12 lavoratori su 35
- E.M.C. 38 dipendenti, utilizzati tutti gli ammortizzatori sociali, licenziati 11 lavoratori
- Sirti 160 dipendenti, in Cigs (cassa integrazione straordinaria) e contratto di solidarietà per 42 lavor.
- Bridgestone 950 dipendenti, annuncio chiusura nel 2014
- Bosch 1975 dipendenti, contratto di solidarietà per una parte degli operai
- OM carrelli 224 dipendenti, trattative per l'acquisto. Attualmente lavoratori in Cigo
- Osram 240 dipendenti, cassa integrazione a rotazione
- Magneti Marelli 920 dipendenti, cigo a rotazione
- Prysmian cavi 99 dipendenti, riduzione turni di lavoro e procedure di mobilità
- Getrag 780 dipendenti situazione stabile, ma senza un piano industriale adeguato
- SKF 400 dipendenti, esubero 50 lavoratori
- Oerlikon 400 dipendenti, cigo a rotazione

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